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BOZZETTO - Sotto il berceau di glicini - Anni ‘50

  

Nostra madre, china sui suoi fiori parlava con essi,

mentre liberava i vasi da estranee pianticelle che avevano colonizzato la terra tutt’attorno.

 

Presso di lei, a breve distanza, nostro padre seduto a cavalcioni della solita sedia,

la seguiva con lo sguardo bofonchiando tra sé e sé:

- vostra madre é impazzita, parla con le piante-

 

A distanza, il solito gatto opportunista, fermo, le zampette premute contro il terreno,

gli occhi socchiusi “a fessura”,

seguiva ogni movimento di mamma nella evidente speranza di una sua attenzione…

 

(sapeva il gatto, dal suo orologio biologico di quel tempo che man mano maturava

per ottenere il boccone che avrebbe rimediato)

 

Il cane volpino Tex, sorvegliava dominante la scena,

sia quella del gatto sia quella dei due padroni.

 

A sua volta, nostro padre, impaziente com’era per il cibo,

lanciava occhiate indagatrici verso la porta aperta della cucina.

 

Nell’’aria estiva si spandevano odori conosciuti che solleticavano il suo palato.

 

I fiori del glicine, a grappoli, penzolavano su di loro,

come a raccoglierli in un unicum.

 

Gli occhiali di nostra madre erano finalmente scivolati sul suo bel naso

per la prolungata posizione dello stare ferma.

 

Si eresse lentamente sulla sua piccola persona

indugiando per un po’ con sguardo amorevole sui gerani infedeli,

ormai addomesticati dalle recenti cure: il risultato le pareva buono.

 

Poco dopo si diresse versi il viale dei pini seguita dal fedele Tex

che fiero le trotterellava a fianco.

 

Nel pollaio le galline l’accolsero starnazzando

mentre lei esaminava delusa i nidi vuoti di uova: non avevano “FETATO”!

Avrebbe voluto che FETASSERO ogni giorno, tutte.

 

Intanto un ultimo monologo si scioglieva interloquendo in tono di rimprovero

tra sé e le galline.

 

I piccioni, insaziabili come sempre, CRUCRUANDO e roteandosi sulle rosee zampette,

aspettavano impazienti che la padrona andasse via al più presto

per poter beccare indisturbati il mangime.

 

La mamma chiuse il cancelletto dietro di sé brontolandogli contro (al cancelletto)                       

e si avviò di nuovo verso il berceau dove l’attendeva nostro padre ormai impaziente, già diretto in cucina.

 

- oh! Fió, quande se magne? – (Art.) – n’é ora? – l’apostrofò.

 

Il glicine partecipe spandeva quel voluttuoso profumo

esaltato più intensamente dall’afa estiva.

 

Mentre mamma di rimando:

- nu mument Artibà, aspitt, aspitt – (Fiore)

 

Eccoli i nostri genitori

conosciuti da tanti come due esseri dal cuore generoso.

Così diversi tra loro eppure così uniti.

 

Fili impalpabili ma tenaci li univano

come a dover raggiungere insieme un risultato non indegno delle fatiche conseguite

in tanti anni di inquietudini e di rapide gioie.

 

Il glicine partecipe spandeva quel voluttuoso profumo

esaltato più intensamente dal caldo serale.

 

Essi ebbero tra molteplici tempeste la virtù di chi sa bene usare il vivere,

così, come si srotola, giorno dietro giorno.

 

Conseguirono con fatica la vita, insieme,

ma non senza risultati onorabili, perché non si piegarono.

 

Entrambi fecero professione della rispettabilità.

 

 

Dedicato a mio fratello Franco

 

   Gabriella                             24 maggio/003

 

 

La leggenda di San Francesco da Paola

In un villaggio chiamato Paola, 
molto tempo fa, c'era un Re che amava null'altro 
che la pastasciutta e la cioccolata.
Solo quando c'erano la pastasciutta o la cioccolata a tavola 
il Re si sentiva veramente felice. 
Di notte egli dormiva su un materasso fatto di truffes allo champagne 
fatte venire direttamente dalla Svizzera, fresche tutti i giorni,
e la mattina faceva colazione o con penne alla carbonara, 
perchè c'era l'uovo fresco, o rigatoni con la ricotta 
con una spolveratina di cannella.
Il Re diventò molto ciccione e presto non potette più muoversi,
così i sudditi inventarono una carrucola per sollevarlo dal trono 
e metterlo su una carrozza corazzata speciale. 
La carrozza era adornata di fregi di cioccolata che il Re, 
man mano che veniva trasportato in giro, si mangiava.
Essi venivano dunque sostituiti tutti i giorni 
da provetti artigiani del cioccolato. 
Dentro la carrozza c'erano sempre vassoi pieni di gnocchi, 
tagliatelle e spaghetti all'amatriciana, e altre prelibatezze 
di primi piatti, che variavano sempre.
Un giorno, una Principessa sua vicina di regno 
lo vide passare e s'innamorò di lui a prima vista, 
nonostante la sua mole.
A tutti sembrò strano che essa si fosse invaghita 
di un Re ciccione e dedito soltanto 
ai piaceri del palato, piaceri che tra l'altro si limitavano 
alla pasta e al cioccolato. Però così fu. 
Un giorno che sapeva che sarebbe passato di là, la Principessa, 
che aveva chiamato al proprio castello il cuoco migliore 
del mondo, Francesco, che era originario di Bologna, 
aveva fatto preparare i migliori primi piatti 
che fossero mai esistiti dalla notte dei tempi.
Avvicinandosi la carrozza, a turno dei ventilatori a manovella
mandavano verso il Re gli effluvii celestiali 
di tutto questo ben di dio. 
Alla fine venne il turno della cioccolata: 
cioccolata che mentre si fondeva mandava 
i suoi messaggi caldi e morbidi direttamente alle narici
e alle papille gustative del bramato. 
Il Re ordinò di fermare immediatamente
la carrozza e mandò un messo ad informarsi sull'origine 
inimmaginabile di quegli effluvii: il messo tornò con dei piccolissimi
assaggi, che fecero venire al Re ancora più voglia di arrivare alla
fonte di quello che sarebbe stato l'immenso piacere.
La Principessa dunque lo invitò a salire ed egli, non senza difficoltà 
ma aiutandosi con la carrucola, andò, 
e si perse per sempre in questa goduria senza fine.
Egli proclamò il cuoco originario di Bologna addirittura "Santo", 
San Francesco da Paola, e sposò la Principessa 
che lo aveva reso così immensamente felice, 
e infatti vissero felici e contenti.
Per Francesco, Buon onomastico
MCB 2 aprile 1997

 

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